“Sono Gerardo Spina di Cesinali, piccolo paese in provincia di Avellino. La storia che vengo a raccontare è terribile per dei genitori”.
Comincia così una delle tante lettere che mi sono arrivate in quest’ultimo periodo da persone che vogliono “semplicemente” giustizia, straziate dalla perdita di un loro caro, vittima vera o presunta di “malagiustizia”. Chi mi scambia per un avvocato o per un giudice, chi cerca anche solo una valvola di sfogo. Tutti, dopo mesi, anni di dolore e riservatezza, passati nell’illusione che la verità sia un percorso lungo ma giusto, complesso ma silenzioso, decidono quasi per esaurimento di rendere pubblica con appelli, foto, interviste la loro tragedia privata. E così chiede il signor Spina, ex maresciallo dell’Aeronautica Militare: “Non posso e non lo farò mai: arrendermi dinanzi ad un episodio così grave, anche perché vorrei che altri ragazzi e le loro famiglie non passassero quello che stiamo passando noi”.
“L’episodio” riguarda la morte del figlio, Carmine, 24 anni, in un incidente stradale avvenuto il 26 dicembre 2005 sulla statale 574 in località Serino, provincia di Avellino. Era domenica pomeriggio, il ragazzo viaggiava su una moto Suzuki, nuova fiammante da poco acquistata con il proprio stipendio da operaio. Un impatto violentissimo con un’auto, a bordo tre persone, che usciva da una strada laterale. Il giovane moriva sul colpo, mentre l’amico che lo affiancava su un’altra moto, riusciva ad evitare l’impatto e a salvare la vita, fratture alle gambe. Entrambi provenivano da una strada con diritto di precedenza. I genitori del ragazzo accorsero sul posto pochi minuti dopo quando già i sanitari avevano constatato il decesso alla presenza di quattro carabinieri della locale stazione. La dinamica non è chiara, scrissero subito i giornali, perché l’auto era inspiegabilmente fuori strada, lontano dalla moto. Verità, dubbi, bugie, false testimonianze emergeranno solo molto tempo dopo durante il processo al conducente della vettura, un artigiano della zona. Il maresciallo dei carabinieri ammetterà infatti di non aver fatto in modo preciso i necessari rilievi di legge e in particolare di “aver spostato l’auto perché al momento non ci si era resi conto della gravità dei fatti”. Bugiardo o incompetente? si chiede il signor Spina, allegando alla sua lettera numerosi documenti: le foto del figlio morto sul colpo, il casco insanguinato e la planimetria della zona, la strisciata di una lunga frenata attribuibile alla moto.
“Le stranezze postume” emerse nel processo continueranno perché, appurato che il ragazzo usciva da una curva verso destra prima di scontrarsi con l’auto, che comunque doveva dargli la precedenza, quant’è la distanza tra la curva e la via secondaria: “Otto metri, se non sbaglio” ripete più volte il carabiniere davanti al pubblico ministero che lo interrogava in aula. Peccato che i metri siano 80. “Come chiamare questo modo di fare, complicità o omertà?” mi chiede ancora il padre del ragazzo. Altri particolari: l’auto è stata dissequestrata solo 19 giorni dopo l’incidente mortale, un successivo perito è stato nominato due mesi dopo ma non è stato ascoltato come testimone nel processo. Risultato finale: la sentenza di primo grado si è chiusa con l’assoluzione dell’automobilista dopo che il p.m. aveva chiesto otto mesi.
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