Le Vittime non hanno scelto di esserlo.Lo sono a causa della scelta di qualcun altro. Lo sono ancora quando la giustizia tutela "prima" i colpevoli;quando un assassino chiede una libertà prematura; quando anche tu, che leggi queste parole,ti dimentichi di Loro. Vittime da "quel" momento e per sempre, perché "quel" dolore non ha sconti. E noi non possiamo più abbassare lo sguardo davanti ai Loro occhi.
Barbara Benedettelli
Per il Diritto a una giustizia con la G maiuscola!
QUESTO BLOG NASCE DAL LIBRO "VITTIME PER SEMPRE", DI BARBARA BENEDETTELLI, SCRITTRICE E ATTIVISTA DER I DIRITTI DELLE VITTIME. UN TESTO DI DENUNCIA FORTE. PAGINE ACCORATE, SCRITTE CON PASSIONE CIVILE E RIGORE. NON UN LIBRO, UNA CAUSA - AMA DIRE LA BENEDETTELLI - CHE DEVE ESSERE DI TUTTI E CHE VA OLTRE LE IDEOLOGIE PERCHE' LA VITA E' UN BENE SUPER PARTES, COME LA GIUSTIZIA! DALL'IMPEGNO CIVILE DELLA BENEDETTELLI NASCE UN MOVIMENTO ATTIVO DI PERSONE, COLPITE O MENO DAL REATO CONTRO LA VITA: GIUSTIZIA E DIRITTI PER I CITTADINI COLPITI DAL REATO CONTRO LA VITA
"Nel testo, come nel blog, la parola Vittime, al plurale, indica i congiunti di chi è stato ucciso, mentre al singolare indica la persona uccisa. La “V” maiuscola è invece una scelta che sottolinea il valore “unico” di una condizione immeritata, non voluta, di grande e durevole sofferenza. Dobbiamo a queste persone un rispetto che, ancora oggi, non c'è. Quando vedrò la parola Vittime con la "V" maiuscola in ogni testo, ogni commento, ogni blog, ogni giornale allora potrò dire: "Le nostre parole sono arrivate all'anima del mondo e lo hanno cambiato!"
BB
sabato 12 novembre 2011
Il Caso Lucidi e gli altri. Quando la vita non vale niente!
Nei giorni in cui si parla della scarcerazione di Stefano Lucidi, che uccise i due fidanzati di Roma Flaminia e Giordano, vorrei riproporvi alcuni passi del mio libro Vittime per Sempre.... Io non posso accettare che la vita non abbia "prezzo". Non posso pensare che una vita umana stroncata in un attimo a causa della mancanza di rispetto di quelle regole che sono lì per impedire ciò avvenga, non abbia un valore grande. Che non abbia un prezzo così grande da indurre le persone a pensarci 6 volte prima di commettere azioni che SAPPIAMO possono produrre risultati irrimediabili!!!
Quanto segue è Tratto dal libro Vittime per Sempre di Barbara Benedettelli, è tratto dall'intervista a Walter Zara, papà di Antonello, ucciso in Sardegna mentre, con il suo motorino, tornava a casa... (...)
Walter è un uomo mite. Ti guarda calmo, composto e ti chiede aiuto con le
parole ma prima ancora con lo sguardo. La sua speranza è quella di poter dare a
suo figlio dignità, valore e giustizia. E se noi cittadini, noi istituzioni,
noi umanitari, noi educatori, magistrati, medici, psicologi, sociologi, uomini
di fede o laici non sappiamo ristabilire equilibrio tra quella morte innaturale
e la vita che resta, allora tutto è perduto per tutti.
È stato sconvolgente per me leggere il verbale di quella notte. Un fascicolo di fotocopie che
raccontavano con la freddezza della morte stessa la fine di un essere umano
sano, bello come il sole, sereno. Mi ha dato fastidio vedere parti prestampate,
impersonali, sbarrate, e altre compilate con la fretta di chi esegue un
mestiere “burocratico” con cinismo. Un cinismo certamente necessario a non farsi schiacciare, ma perturbante se osservato dall’esterno. Terrificante,
credo, per un genitore che da
quel momento diventa personaggio silenzioso e scomodo di una vicenda di cui è
parte involontaria e che adesso non si occupa più di lui:
Invitate separatamente ad esaminare attentamente il cadavere qui presente
e a dichiarare a chi abbia appartenuto in vita, esse hanno, concordamente
dichiarato che apparteneva alla persona chiamata……………………
Sfogliando quelle pagine non ho potuto fare a meno di
trattarle con una cura quasi maniacale. Fotocopie, eppure così importanti per i
genitori di quel ragazzo che non c'è più. Fogli dal peso enorme per chi
riconosce il valore di una vita umana e che raccontano, in una sintesi
“mortalmente” riduttiva, un evento che ha l'immensità del cielo. Leggevo
e mi chiedevo come faccia un genitore che poco prima aveva parlato al telefono
con il proprio figlio, che lo ha riempito di baci e carezze quando era bambino,
che ha sofferto quando per la prima volta si è fatto male, che ha gioito mentre
lo accompagnava verso il suo futuro di uomo felice, sano, capace, come faccia a
leggere un fascicolo che è stato prestampato come banale routine. E come faccia
poi a resistere al male psicologico, fisico, quando la legge emette sentenze
come questa.
L'imputato del delitto previsto all'articolo
589,[1] primo e secondo comma codice penale,
perché mentre si trovava alla guida della sua autovettura Bmw Serie 1 […]
mentre effettuava una curva destrorsa,per negligenza, imprudenza, imperizia, violazione di leggi e regolamenti[2],
in particolare dell'articolo 143 comma 12 del codice della strada, nel
procedere alla velocità di circa 81 km/h, superiore al limite generale di
velocità nelle strade urbane (50 km/h) e comunque non commisurata alle
caratteristiche del tracciato stradale, invadeva completamente la corsia di
marcia apposta ove sopraggiungeva il ciclomotore di marca Honda tipo Sky […] guidata da Zara
Antonello, andando così a collidere contro il medesimo, con conseguente
violentissimo urto, nel quale Zara Antonello riportava lesioni personali che ne
provocavano il decesso . […] Pena base mesi 27, concessione della attenuanti
generiche = mesi 18; riduzione ex articolo 444[3] c.pp.= mesi 12; subordinando l'efficacia della
richiesta allaconcessione della sospensione condizionale della pena.
[…] Per quanto precede, la pena concordata dalle parti appare correttamente
determinata e adeguata-considerati tutti i criteri di cui all'articolo
133.cp[4]. […]Può essere concesso il beneficio
della sospensione condizionale della pena, in quanto si tratta di soggetto
incensurato e può ritenersi che in futuro si asterrà dal commettere reati. Ai sensi dell'articolo 222 del
codice della strada va inoltre disposta la sanzione amministrativa accessoria
della sospensione della patente di guida, per un lasso di tempo che avuto il
riguardo della personalità dell'imputato e a tutte le circostanze del caso
concreto – e in particolare alla gravità della colpa, consistita nell'aver
affrontato una curva destrosa a visuale impedita mantenendo una velocità
superiore al limite e tale da non consentirgli di rimanere all'interno della
corsia di competenza – può essere determinato in 18 mesi (mesi 27 – 1/3 ex art.
222, co.2bis c.d.s. 9).
In questa sentenza si può leggere tra le righe il significato di un
“ordinamento proreo”. Il riguardo verso «la personalità dell'imputato»
appare totale. La Vittima è solo “un cadavere” capitato sulla sua strada. Un incidente appunto, per il colpevole
però. Il solo per cui si ha riguardo nonostante la sua «negligenza, imprudenza,
imperizia, violazione di leggi e regolamenti». L'impunità non è percepita
soltanto, è legalizzata. È reale come quel: «si tratta di soggetto incensurato
e può ritenersi che in futuro si asterràdal commettere reati». Non è un reato e basta. È un
omicidio, ma anche di questo, nella sentenza non si parla. Per pudore? «La pena
concordata dalle parti appare correttamente determinata e adeguata». Ecco,
appunto “appare”. Anzi, neanchequesto.
Il passato è morto insieme ad Antonello. La legge guarda al futuro e
nella sostanza non punisce sulla base della presunzione che essendo
incensurato il reo si asterrà dal commettere altri reati. Per quello già
commesso, gravissimo, la condanna penale nei fatti è pari a zero. La
responsabilità personale di cui si parla all'articolo 27 della Costituzione è
superflua. È un concetto che riguarda
l'atto commesso, e l'atto commesso qui sembra non contare più. Come si fa a
dire che una pena sospesa «appare adeguata all'entità della condotta e alla
gravità del fatto»? Che ci sia stato, come si legge nella prima pagina del
fascicolo fotoplanimetrico, un «sinistro con esisti mortali» non cambia niente?
Eppure da quel giorno sono cambiate molte cose per un'intera famiglia che prima viveva, adesso
sopravvive a una scomparsa che nessun essere umano può sopportare.
musicco:
Nell'associazione[5] abbiamo casi di genitori che impazziscono. Il papà di un ragazzo
investito e ucciso da un camionista quando aveva diciassette anni, è impazzito
dopo la condanna a dieci mesi con la condizionale. Praticamente zero.
Quell'uomo ha subito una seconda ingiustizia. Ha sentito un dolore ancora più
forte del primo perché la vita di quel suo unico figlio è stata svalutata dalla
legge. «Se non fa giustizia lo Stato allora me la faccio da solo». Va avanti
con questa idea.
barbara:
Credo che solo una giustizia giusta, capace di valutare i fatti nella
loro gravità e interezza e di riconoscere il valore di tutto ciò che viene
spezzato, possa arginare la pulsione irresistibile di farsi una giustizia
sommaria e illegale quale la vendetta. Quello che dovrebbe far riflettere è che
questo bisogno non è sorto subito. È nato dopo, quando la giustizia legale non
ha fatto il suo corso. La vendetta,
come afferma George
Orwell, è «un atto che
si desidera compiere quando si è impotenti e perché si è impotenti: non appena
il senso di impotenza viene meno, svanisce anche il desiderio di vendetta». E l'impotenza non è possibile dove c'è l'affermazione convinta delle
leggi che tutelano la vita e pretendono il pagamento di un prezzo certo,
definito e davvero adeguato alla gravità del fatto. E un omicidio, che sia
preterintenzionale [6], volontario o colposo è sempre un fatto
gravissimo. Sempre.
M: La sera dopo
quell'incidente c'era la partita della nazionale, era l'anno dei mondiali. La
madre ha voluto telefonare al camionista, neanche lei sa bene il perché e lui,
tutto contento, ha risposto al telefono dicendo: «Ma chi sei, sei una mia
amica? Sto festeggiando l'Italia. Ha vinto!». «No. Non sono tua amica. Sono la
mamma del ragazzo che hai ucciso. Volevo sapere cosa stavi facendo!» Era
successo da poco, ma in lui non c'era il minimo senso di quello che aveva
fatto. Festeggiava la partita, come faceva chiunque. Come se il giorno prima
sotto le ruote del suo camion ci fosse rimasto un cartellone stradale, che ne
so, un pallone. Totale incoscienza. E la legge non lo aiuta a capire, a
percepire che ci sono errori gravissimi, così gravi che distruggono tutto ciò
che toccano e che non si possono cancellare.
Come fai a resistere
quando l'uomo che ti ha ammazzato il figlio fa festa la sera dopo? Come fai a
non impazzire, a non sentire dentro una rabbia potente che vorrebbe farti
rompere tutto? Come fai tu madre, tu padre, tu semplice cittadino a sentirti
sicuro, protetto, libero, in uno Stato incapace di responsabilizzare la gente?
Come puoi accettare la totale impunità su fatti così gravi? Come si fa a
uccidere una persona, un ragazzino di appena diciassette anni e non sentirsi
morire dentro, non sentire il minimo rimorso, il minimo senso di colpa? Per l'omicidio in strada le pene
sono già troppo miti: che almeno siano scontate senza attenuanti, senza
patteggiamenti, senza condizionali.
M: Infatti, la
responsabilità personale dove la mettiamo? Perché non ne parlano mai quelli che
chiedono di rispettare i diritti umani di quelli che fanno del male agli altri?
È da lì, dalla mancanza di responsabilità che nascono le disgrazie di questo
tipo e una pena che sa davvero educare non può dimenticarlo.
Sì, responsabilità.
Mi viene in mente Fatima, la mamma di un bambino morto a otto anni a causa di
un gesso fatto male, è riuscita a ottenere giustizia smuovendo l'opinione
pubblica attraverso i media. Nel suo caso c'era stata negligenza da parte del
personale sanitario. Una leggerezza che è costata la vita di suo figlio. Una
“banalità” per nulla banale, se è arrivata a provocare un evento tragico,
per di più in un ambiente in cui la salute dovrebbe essere tutelata. Nessuno
può prevedere un aereo che cade su una casa. Ma se un gesso è così stretto da far scurire le dita, è chiaro che qualche cosa non va. Quella mamma ha lottato e ha ottenuto giustizia: il
riconoscimento legale di una responsabilità umana e del valore di una giovane
vita. Fatima non avrà più il suo bambino, il dolore non le risparmierà neanche
un giorno, avrà sempre la mancanza di lui, il rammarico di non poterlo vedere
diventare un cittadino del mondo. Ma se non avesse ottenuto neanche giustizia, ha detto, si sarebbe uccisa. E qui non stiamo parlando di una richiesta dell’ergastolo, della pena di morte,
di lunghissimi anni di prigionia. Lei
ha chiesto che chi ha sbagliato non la facesse franca, che venisse riconosciuto
non l'errore umano involontario, ma l'errore umano dovuto a leggerezza. Ora
quei genitori possono elaborare il loro terribile lutto, trovare il modo di
farsene una ragione.
zara:Io non ho avuto giustizia Barbara, perché poliziotti,
giudici, avvocati non hanno fatto il loro dovere fino in fondo. Non posso
accettare che a mio figlio morto abbiano fatto il test per vedere se era
drogato e se aveva bevuto, trattato come un poco di buono nella morte,
nell'impossibilità di difendersi e di dimostrare che era una persona brava, e
invece a chi lo ha ucciso non lo abbiano fatto. Non ci riesco. Sono pazzo? È
giusto tutto questo? Lo devo accettare per forza? Perché lo devo accettare se
non è giusto, se c'è stata una così grave mancanza? A chi lo ha preso sotto e
ucciso, e a cui hanno fatto una multa perché andava contromano vicino a una
curva, non hanno fatto il test. Come? Va contromano alle quattro del mattino e
non gli fai il test dell'alcol? Lo fai a mio figlio? Come possono chiedermi di
accettare questo? Io ho denunciato i due agenti che hanno fatto il verbale,
però mi sono reso conto che la giustizia cautela se stessa. Ho scoperto che io
non ero autorizzato a denunciarli perché non ne avevo titolo.
(...) M è l'Avvocato Domenico Musicco - Z è Walter Zara - B è Barbara Benedettelli
M: Ribadisco, un'assurdità della legge: non ci sono
differenze tra la condotta irresponsabile alla guida che non causa Vittime, e
la stessa quando le causa. Nella sostanza dei fatti non c'è nessuna pena in
nessuno dei due casi. Quando si parla di certezza della pena per chi commette
l'omicidio stradale, si deve considerare anche il dolo e non solo la colpa.
Perché se ti metti in strada ubriaco o drogato c'è dolosità: bruci i semafori,
vai contromano, procedi a zig zag…
B. Diventi un'arma
mortale che spara a caso…
M: Per questo ci vuole
almeno il dolo eventuale[1]. La Cassazione invece ultimamente lo ha negato. Era stato dato nel caso
Lucidi.[2]
B. Una sentenza “da
manuale” quella del gip Marina Finiti. Perché secondo lei avvocato la
Cassazione lo ha negato?
M: Secondo me perché la
Cassazione, pur composta da magistrati di esperienza, in quel caso non ha
mostrato di avere il polso del cambiamento sociale. Molti Magistrati sono lì
dopo una carriera di quarant’anni e non hanno la conoscenza del mondo
reale. È una casta chiusa. Per la Cassazione, come leggo sui quotidiani, le
molestie via email non sono molestie. E poi magari un anno dopo sullo stesso tipo di argomento la
Cassazione dice una cosa e l'anno successivo afferma l'opposto. Il problema è
che le sentenze di Cassazione fanno testo per le altre. Nel 2010 il dolo
eventuale non è riconosciuto, magari prima della fine del 2011 viene
riconosciuto.
B. Troppa arbitrarietà.
Troppa. Non è più un problema di certezza della pena. Il problema è la certezza
della legge!
M: Sì. Infatti. In questo
caso è la legge che deve imporre di prendere in considerazione il dolo
eventuale quando c'è il morto. È ancora la legge a dover fare una distinzione,
che oggi non c'è nella pratica, tra comportamento deviante contrario al codice
della strada che non causa la morte di una persona, e omicidio. Ovvero lo
stesso comportamento che causa uno o più morti.
B. È incredibile che le
norme non prevedano inasprimenti di pena quando ci sono vite interrotte…
M: Non ci sono differenze,
no. Non va bene. In Francia gli omicidi sulla strada vengono chiamati violence
routiere, da noi omicidi colposi. In tutti i paesi europei se c'è un
omicidio stradale c'è la pena o del carcere o dei servizi sociali. Per esempio
si va negli ospedali ad assistere gli invalidi resi tali proprio dagli
incidenti stradali. In Inghilterra hai sempre, fissi, tre mesi di carcere.
B. Ecco perché anche se
gli inglesi bevono volentieri gli incidenti sono in notevole calo.
M: Sì. In Inghilterra se
uccidi qualcuno in strada che vada in un modo o nell'altro hai la certezza di
farti tre mesi di prigione. Io l'ho proposto anche qui, ma mi hanno detto che
non siamo nel diritto romano.
B. Parlerebbero
diversamente se fossero al posto di Walter, o dei genitori di quel ragazzo
ucciso dal camionista che la sera dopo esultava per la vincita della nazionale.
Non parlerebbero affatto al posto di Antonello.
M: Purtroppo… Mi viene in
mente che quando ci sono delle ingiustizie e la gente si arrabbia con i giudici
si dice che non fanno altro che applicare la legge. Ma questo non è vero. Perché nella legge ci sono i minimi e i
massimi.
B. E scelgono spesso i minimi che poi diventano
ancora più minimi grazie agli sconti. È come se avessero paura di punire… ma
perché?
M: Se si iniziasse a dare
condanne con pene carcerarie e servizi sociali, magari ad assistere i disabili
nei reparti spinali degli ospedali, dove ci sono un sacco di giovani che
soffrono pene infinite per un incidente stradale, allora forse davvero le cose
piano piano potrebbero cambiare… Magari capiscono che cosa hanno combinato.
Z: Mi hanno detto che
quando lo hanno messo sulla barella rantolava… Si sentiva ancora un respiro
flebile, ma lui non c'era già più… per la legge però, per i giudici e per i
poliziotti che non hanno fatto il test al ragazzo, è come se si fosse spenta
una candela al vento… Ecco perché li ho denunciati. Però non è servito a
niente. Io lo sogno e una volta mi ha detto: «Papà ti ho lasciato la chaise
longue, tu mettitici sopra, rilassati». E io ogni giorno passo e
l'accarezzo.
NOTE
[1] Articolo 589 - Omicidio
colposo. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la
reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione
delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle della
prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a
cinque anni. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più
persone e di lesione di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe
infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al
triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici (http://www.ambiente.it ).
[4] Gravità del reato: valutazione agli effetti
della pena. Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo
precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: dalla
natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni
altra modalità dell’azione; dalla gravità del danno o del pericolo cagionato
alla persona offesa dal reato; dalla intensità del dolo o dal grado della
colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del
colpevole, desunta: dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai
precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del
reo, antecedenti al reato; dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (Avv.
Alessandro Amaolo www.avvocatoamaolo.com).
[5] Aifvs
- Associazione Italiana Familiari e Vittime
della Strada, Onlus di cui Domenico Musicco è avvocato.
[6] Omicidio preterintenzionale:
l’articolo 584 del codice penale stabilisce che «Chiunque, con atti diretti a
commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte
di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni». Nel delitto
preterintenzionale (laddove preterintenzione vuol dire oltre
l’intenzione), il soggetto commette un reato diverso da quello previsto al
momento di agire. Il codice penale contempla una sola ipotesi di questa
particolare figura delittuosa: l’omicidio preterintenzionale, che ricorre
quando una persona, compiendo atti diretti a cagionare semplici percosse o
lesioni personali nei confronti di altro soggetto, senza volerlo ne causa la
morte. Per l’omicidio preterintenzionale è prevista una pena
inferiore a quella stabilita per l’omicidio doloso, ma superiore a quella
propria dell’omicidio colposo. Un’altra ipotesi di delitto preterintenzionale è
stata prevista con la legge sull’aborto. Anche in questo caso il reato ricorre
quando il soggetto agente, intendendo provocare lesioni a una donna,
involontariamente ne determina l’interruzione della gravidanza. Aumenti di pena
sono previsti in caso di presenza di aggravanti di cui agli articoli 576 e 577
del codice penale. La competenza a decidere è della Corte d’Assise, l’arresto
in flagranza è facoltativo mentre il fermo è consentito e la procedibilità è
d’ufficio. Sono applicabili le misure di sicurezza.
NOTE
[1] Ove l'evento mortale sia stato previsto anche solo come probabile, con accettazione del rischio del relativo accadimento, l'agente ne risponde a titolo di omicidio volontario sotto il profilo del dolo indiretto o eventuale (cfr. tra le tante, Cass. Sez. I, sent. 18.12.2003 Venturini; Cass. Sez. I, 2.10.2003 Pepe; Cass. Sez. I, sent. 20.5.2001 Milici; Cass. Sez. I, 19.12.2002 Falorni). Il dolo eventuale consiste nell'accettazione di un evento che non è preso di mira dall'agente e neanche è previsto come certo, costituendo solo un esito probabile o possibile della condotta, dalla quale, nonostante l'incertezza circa l'esito ulteriore, l'agente non si astiene (cfr. Cass. Sez. I, sent. 671 del 23.10.1989, Ditto). La linea di demarcazione che separa il dolo eventuale o alternativo dalla colpa con previsione va dunque ricercata nell'accettazione del rischio: risponderà a titolo di dolo l'agente che, pur non volendo l'evento, accetta il rischio che esso si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo. Risponderà invece a titolo di colpa aggravata l'agente che, pur rappresentandosi l'evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella ragionevole speranza che esso non si verificherà (Cass. Sez. V, sent. 13274 del 17.10.1986, Asquino; Cass. Sez. I. sent. n. 4912 del 12.1.1989, Calò). In entrambi i casi ricorre la previsione dell'evento, ma in un caso si accetta il rischio, nell'altro lo si esclude. Da ultimo la S.C., Sez. IV, con sentenza n.11325 del 16 gennaio 2008 ha ribadito che ove l'evento mortale sia stato previsto anche solo come probabile, con accettazione del rischio del relativo accadimento, l'agente risponderà di omicidio volontario sotto il profilo del dolo indiretto o eventuale. Ovviamente, non potendosi indagare la psiche dell'agente, l'accertamento dell'elemento soggettivo del reato può essere effettuato soltanto alla stregua delle circostanze di fatto esistenti e note all'agente nel momento in cui la condotta è stata posta in essere, desumendone dalle stesse l'atteggiamento psichico (cfr. Cass. Sez. I, sent. 23.10.1997 n. 5969, Held). È demandato al giudice risalire all'elemento psicologico del reato sulla scorta dei dati fattuali e circostanziali della vicenda. Ove questi, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostrino la consapevole accettazione anche della sola eventualità che dalla condotta possa derivare la morte del soggetto passivo, l'agente risponderà dell'evento a titolo di dolo. l'attuazione della condotta (cfr. al riguardo Cass. Sez. Un. sent. 3426 del 6.12.1991). «Quando invece il soggetto, pur essendosi rappresentato 1'evento come possibile, abbia agito nella convinzione, giusta o sbagliato che sia, che l'evento non si sarebbe comunque verificato, esso ne può essere attribuito alla sua sfera volitiva e si cade nel versante della colpa aggravata dalla previsione dell’evento […]»Ricorre dunque l'omicidio volontario per dolo eventuale nel caso in cui la condotta dell'agente sia stata tale da dimostrare, alla stregua delle regole della comune esperienza, la consapevole accettazione anche della sola eventualità che da detta condotta potesse derivare la morte del soggetto passivo (cfr. da ultimo Cass. Sez. I, sent. 11335 del 16 gennaio 2008). (cfr. Cass. sez I, sent. 30425 del 2001). Da sentenza Lucidi Gip Marina Finiti www.vittimestrada.org.
[2] Al riguardo rileva il gup, «[…] L'imputato, alla guida di una vettura di grossa cilindrata, attraversando un incrocio in zona centrale della capitale, in orario in cui era elevata la circolazione pedonale e veicolare (basti considerare il numero di testi oculari presenti), procedendo a velocità estremamente elevata, non inferiore ai novanta chilometri orari, attraversando consecutivamente due incroci nonostante il semaforo nella sua direzione di marcia indicasse luce rossa, si è evidentemente rappresentato il rischio di incidenti, anche con possibili gravi conseguenze. Ciò nonostante non ha desistito dalla sua folle condotta di guida, accettando almeno in parte il rischio d un evento drammatico. Neppure dopo l'impatto l'imputato si è fermato; ha continuato la sua folle corsa, spostandosi sulla corsia laterale di via Nomentana per darsi alla fuga. Poco sostenibile al riguardo lo stato di shock dallo stesso dedotto, attesa la lucida pianificazione della sua condotta immediatamente dopo il sinistro, finalizzata a occultare ogni elemento a suo carico. Non può dunque dubitarsi della direzione della sua volontà, sotto il profilo dell'accettazione del rischio, verso l'evento mortale.[…] Non può sostenersi, come vorrebbe la difesa, che il Lucidi abbia sottovalutato il rischio, ritenendo erroneamente di poter evitare l'impatto confidando nella sua abilità di guida, sì da ritenere l'ipotesi colposa […]. Il professor Marcon sulla base del ricorso a regole scientifiche e di esperienza, con argomentazioni riscontrate e assolutamente condivisibili, che questo giudicante fa proprie, ha riferito che in quelle circostanze, a quella velocità, alla guida di una vettura di grossa cilindrata che sviluppava un'energia cinetica enorme, nulla avrebbe potuto fare il Lucidi per evitare l'urto. La collisione era dunque un evento inevitabile, salvo a sperare che nessuno in quel frangente venisse a impegnare la medesima area di incrocio, ma è evidente che una speranza del genere rientra nell'imponderabile. Ha precisato il professor Marcon che la condotta di guida del giovane era “alla cieca”, non perché non vedesse ciò che accadeva intorno a lui, ma perché si era posto in una condizione tale che nulla avrebbe potuto fare in quelle circostanze per evitare l'evento letale che poi si è verificato. La condizione psicologica in cui si trovava il Lucidi mentre era alla guida della vettura era di assoluta noncuranza per la vita umana. Era furibondo, aveva litigato con Valentina che quella stessa sera gli aveva detto che intendeva interrompere il loro rapporto, che era interessata a un altro ragazzo; in preda all'ira aveva reiteratamente alzato le mani su di lei, l'aveva costretta a salire a bordo dell'auto e, nonostante la ragazza piangendo gli chiedesse di tenere una condotta di guida più prudente, continuava nella sua folle corsa, a inaudita velocità, attraversando ben due incroci consecutivamente con il rosso, all'evidente fine di terrorizzarla, di imporsi su di lei, “costi quel che costi”. È proprio questo l'atteggiamento psicologico che lo ha determinato a tenere una condotta di guida palesemente ed assurdamente spericolata. Valentina era e doveva essere terrorizzata, doveva temere le sue reazioni. Che si verificasse o meno un incidente, e che potesse avere anche esiti mortali per una o più persone, al Lucidi in quel momento non interessava minimamente. […] Affermata la penale responsabilità dell'imputato per il grave reato del quale è imputato, in relazione all'aspetto più strettamente sanzionatorio della vicenda, rileva il gup che il Lucidi da anni non era più abilitato alla guida di veicoli, siccome risultato positivo al test dei cannabinoidi; ciononostante aveva abitualmente in uso una vettura di grossa cilindrata, la stessa con la quale cagionava l'incidente che conduceva a morte Flaminia ed Alessio. Significativa, poi, per la valutazione della capacità criminale dell'imputato, la circostanza che per evitare il materiale ritiro della patente per ben due volte ne ha falsamente denunciato lo smarrimento. Pena equa, avuto riguardo ai criteri tutti di cui all'articolo 133 e.p., appare la condanna ad anni dieci di reclusione, così determinati: p.b. anni ventuno, ridotta ad anni quattordici per le attenuanti generiche, da concedersi per la giovane età dell'imputato, aumentata di anni uno per il concorso formale, ridotta nella misura finale indicata per la scelta del rito. P.Q.M. Visto gli artt. 438, 533, 535 e.p.p. dichiara Lucidi Stefano colpevole del reato a lui ascritto e, ritenuto il concorso formale, concessegli le circostanze attenuanti generiche, con la diminuente del rito, lo condanna alla pena di anni dieci di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali e di trenta dicustodia cautelare. Il gup (dottoressa Marina Finiti). Così deciso in Roma, all'udienza del 26 novembre 2008. www.vittimestrada.org.
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