Né giustizialista, né garantista. Realista è la parola giusta! No a una giustizia sommaria e parziale. No al garantismo a senso unico. Sì a un'analisi appassionata della realtà nel suo complesso per trovare, se ne siamo capaci "insieme", una giustizia che ancora oggi ha la "g" minuscola.
Vittime per Sempre non è un libro ideologico. E' un testo che mostra la solidità della violenza, attraverso le testimonianze di vita vissuta e attraverso i fatti. L'atto violento non termina con la sua realizzazione. Prosegue in chi lo ha subito. Macchia l'intera società. In questo libro si parla di reati gravissimi contro la persona. Si parla di uccisione di un essere umano per mano di un altro essere umano: omicidio. Ecco, oggi nel caos di immagini e parole, nel loro uso e abuso, dobbiamo fermarci un istante e andare alla radice per cogliere "il pieno" di parole che altrimenti appaiono vuote. E nel vuoto la violenza agisce indisturbata colpendo chiunque, comunque, ovunque.
"Quando
a uccidere sono persone che in qualche modo avevano già avuto a che
fare con la legge, il senso d'ingiustizia diventa così grande da
pesare quanto un macigno.
E si
posa su tutta la società, che si divide. Ecco che chi si avvicina
alle Vittime e con loro chiede giustizia viene definito in senso
spregiativo “giustizialista”, vendicativo, colpevole di generare
e alimentare violenza. Ma
si tratta di pregiudizi nei confronti di ciò che
è invece negazione del male umano, opposizione tenace verso atti
inammissibili contro la vita, rifiuto di dover vedere gente che
uccide altra gente.
A
chi giova negare che la malvagità esiste, e che una volta scoperta
va curata e guarita “senza ombra di dubbio”? Siamo noi a dare
senso al senso e valore al valore. Qual è il senso che diamo oggi
alla vita umana? Quale valore? E alla morte? Un assassino non può
chiedere di cancellare ciò che ha fatto dal tempo dell'esistenza che
ci accomuna. E neanche noi possiamo dimenticare.(...) Malversazione,
abuso, sopraffazione non sono quelli di uno Stato che imprigiona
stupratori o assassini, sono quelli che gli stessi compiono. Non
dimentichiamolo quando l'evento è passato. È passato per chi il
male lo ha fatto, non per chi lo ha ricevuto. La nostra Carta
costituzionale parla di fine educativo della pena, ma non indica, tra
le diverse possibilità offerte dalla pedagogia, quale sia quella
preferibile. E non possiamo scambiare la tortura e il trattamento
disumano e degradante con la disciplina (…) Un'indulgenza eccessiva
non solo non soddisfa la sicurezza dei cittadini, ma non rispetta
neanche i principi del nostro ordinamento giudiziario a doppio
binario,
che dovrebbe avere tra i suoi fini retribuzione, rieducazione e
tutela della società. La
risocializzazione del condannato avviene spesso in modo
indiscriminato, appare come un obiettivo che annulla tutto ciò che
serve per raggiungerlo. E i risultati sono evidenti nelle recidive.
Un disastro che diventa una tragedia quando, grazie a certe
voragini, in giro si trovano individui davvero pericolosi.
Uomini come quello che nonostante ventisei condanne alle spalle per
stupro, estorsione, minacce, aggressione, durante un beneficio
stabilito in libertà, e grazie a quella libertà,
ha potuto dare fuoco a una giovane donna che lo rifiutava."
Nessun commento:
Posta un commento