Per il Diritto a una giustizia con la G maiuscola!


QUESTO BLOG NASCE DAL LIBRO "VITTIME PER SEMPRE", DI BARBARA BENEDETTELLI, SCRITTRICE E ATTIVISTA DER I DIRITTI DELLE VITTIME. UN TESTO DI DENUNCIA FORTE. PAGINE ACCORATE, SCRITTE CON PASSIONE CIVILE E RIGORE. NON UN LIBRO, UNA CAUSA - AMA DIRE LA BENEDETTELLI - CHE DEVE ESSERE DI TUTTI E CHE VA OLTRE LE IDEOLOGIE PERCHE' LA VITA E' UN BENE SUPER PARTES, COME LA GIUSTIZIA! DALL'IMPEGNO CIVILE DELLA BENEDETTELLI NASCE UN MOVIMENTO ATTIVO DI PERSONE, COLPITE O MENO DAL REATO CONTRO LA VITA: GIUSTIZIA E DIRITTI PER I CITTADINI COLPITI DAL REATO CONTRO LA VITA


"Nel testo, come nel blog, la parola Vittime, al plurale, indica i congiunti di chi è stato ucciso, mentre al singolare indica la persona uccisa. La “V” maiuscola è invece una scelta che sottolinea il valore “unico” di una condizione immeritata, non voluta, di grande e durevole sofferenza. Dobbiamo a queste persone un rispetto che, ancora oggi, non c'è. Quando vedrò la parola Vittime con la "V" maiuscola in ogni testo, ogni commento, ogni blog, ogni giornale allora potrò dire: "Le nostre parole sono arrivate all'anima del mondo e lo hanno cambiato!"

BB

mercoledì 16 novembre 2011

Paola Severino. Ecco come vede la Giustizia


Giustizia: come uscire dal tunnel? processi rapidi e pene certe
di Paola Severino (Vice Rettore Luiss)



Il Messaggero, 4 settembre 2008


L’imminente riapertura dei lavori parlamentari suggerisce ed anzi impone a chi abbia a cuore le sorti della giustizia in Italia di segnalare gli interventi su cui potrebbe basarsi un risanamento del malandato sistema giudiziario italiano ed un recupero di una dimensione della giustizia al servizio del cittadino.
In primo luogo, il ritorno ad una ragionevole durata dei processi: una giustizia ritardata di anni equivale ad una giustizia negata. Nel campo penale, essa lascia del tutto insoddisfatta la vittima del reato, non rende giustizia all’imputato innocente che deve "accontentarsi" della prescrizione anziché ottenere una assoluzione nel merito, non appaga le pretese punitive dello Stato, tradendo il principio di effettività della pena. Su queste devastanti conseguenze si è da tempo raggiunta una comune consapevolezza, accompagnata spesso da una condivisione sulle principali cause che le hanno determinate.
Per quanto riguarda, ad esempio, il processo penale, l’aver concentrato nel dibattimento l’intero procedimento di formazione della, prova attraverso il contraddittorio delle parti e davanti ad un giudice terzo è sì espressione di un sacrosanto principio di civiltà giuridica, ma genera nei fatti una elefantiasi di questa fase processuale che produce inefficienza. Una simile estensione del processo di acquisizione probatoria è ben conciliabile infatti con il sistema anglosassone in cui solo una parte minima dei casi giudiziari sfocia nel dibattimento, ma non lo è con un sistema come il nostro, in cui ogni giudice di ogni sezione penale deve fissare contemporaneamente in un giorno decine di udienze.
Ecco allora che, rispetto a questa fondamentale causa di inefficienza del sistema, potrebbe già formarsi un ampio consenso su una serie di rimedi possibili. Una pregnante opera di depenalizzazione, che lasci alla tutela del giudice penale solo valori costituzionalmente rilevanti. Un abbandono della inveterata tendenza, costantemente seguita negli anni, di sanzionare penalmente qualunque comportamento che susciti allarme sociale, sull’onda dell’emotività più che in base ad una ponderata meditazione sulla meritevolezza di sanzione penale.
L’ampliamento dei riti alternativi e la previsione di riti semplificati per alcune categorie di reati, in modo da evitare che tutti i processi sfocino e si disperdano nei meandri del dibattimento. L’applicazione della normativa che consente di non procedere per fatti di lieve entità, in tal modo ulteriormente selezionando i casi da sottoporre al vaglio del giudice.
In termini riassuntivi, una serie di accorgimenti procedurali e sostanziali, volti a limitare i casi in cui è richiesto il dispiegarsi di lutti i complessi ed articolati riti del dibattimento, in modo che a tali limitati casi il giudice e le parti possano dedicare tutta la dovuta attenzione e tutto il necessario approfondimento. Si tratterebbe di soluzioni ampiamente condivise, considerato che ciò di cui oggi in molti ci si lamenta è che le sanzioni penali siano tante, ma siano spesso solo minacciate e raramente applicate. Sarebbe allora auspicabile che si partisse da queste prospettive comuni per aprire un vero e costruttivo dialogo sulla giustizia.
Un dialogo di cui si avverte da più parti l’esigenza, come ha da ultimo dimostrate il successo della due giorni del seminario promosso dall’Udc e tenutosi a Roma sui più scottanti temi della giustizia, cui hanno preso parte parlamentari di varia appartenenza politica, rappresentanti della magistratura e dell’avvocatura, docenti universitari. Tutti hanno convenuto su due esigenze: ragionevole durata dei processi ed effettività della pena, per restituire efficienza al sistema giudiziario.
Se si partisse da questi punti di comunanza e si prendessero le mosse da quei meccanismi deflattivi su cui in molti hanno espresso consenso, diventerebbe anche possibile affrontare con minore tensione i grandi e più dibattuti temi, come ad esempio quello dell’obbligatorietà dell’azione penale. Se è vero che oggi si tratta di un principio spesso vanificato nei fatti dal sovraffollamento di processi, è altrettanto vero che un sistema di selezione a monte di ciò che deve essere sottoposto al vaglio del giudice penale può consentire di mantenerne inalterata la funzione di garanzia ed anzi di renderlo realmente effettivo. In conclusione, la strada del confronto dialettico su temi specifici e comunemente condivisi appare certamente la migliore per favorire l’intesa sui grandi problemi della giustizia.


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