Per il Diritto a una giustizia con la G maiuscola!


QUESTO BLOG NASCE DAL LIBRO "VITTIME PER SEMPRE", DI BARBARA BENEDETTELLI, SCRITTRICE E ATTIVISTA DER I DIRITTI DELLE VITTIME. UN TESTO DI DENUNCIA FORTE. PAGINE ACCORATE, SCRITTE CON PASSIONE CIVILE E RIGORE. NON UN LIBRO, UNA CAUSA - AMA DIRE LA BENEDETTELLI - CHE DEVE ESSERE DI TUTTI E CHE VA OLTRE LE IDEOLOGIE PERCHE' LA VITA E' UN BENE SUPER PARTES, COME LA GIUSTIZIA! DALL'IMPEGNO CIVILE DELLA BENEDETTELLI NASCE UN MOVIMENTO ATTIVO DI PERSONE, COLPITE O MENO DAL REATO CONTRO LA VITA: GIUSTIZIA E DIRITTI PER I CITTADINI COLPITI DAL REATO CONTRO LA VITA


"Nel testo, come nel blog, la parola Vittime, al plurale, indica i congiunti di chi è stato ucciso, mentre al singolare indica la persona uccisa. La “V” maiuscola è invece una scelta che sottolinea il valore “unico” di una condizione immeritata, non voluta, di grande e durevole sofferenza. Dobbiamo a queste persone un rispetto che, ancora oggi, non c'è. Quando vedrò la parola Vittime con la "V" maiuscola in ogni testo, ogni commento, ogni blog, ogni giornale allora potrò dire: "Le nostre parole sono arrivate all'anima del mondo e lo hanno cambiato!"

BB

giovedì 31 marzo 2011

Il dolore degli altri.


Un uomo inventa, per un concorso, un cocktail dal nome "Yara&Sara". Quando il giorno seguente apre i quotidiani si sente amareggiato. A chi lo intervista dice: "Il giornale l’ho buttato. Quel titolo sparato così, cocktail degli orrori, associato al mio nome. Non mi andava che mio figlio lo vedesse".
Già, suo figlio. Anche Sara e Yara "erano" figlie di qualcuno. Chissà se questo signore si è mai chiesto se i genitori di quelle figlie, che non ci sono più, avessero mai voluto che il loro nome diventasse quello di un cocktail. Per di più, alcolico - e lo sappiamo che flagello è l'alcol per i giovanissimi. Giovanissimi, come erano queste due vite rotte. L'uomo si difende, e dimostra così di non aver capito la gravità del suo atto. La mancanza di rispetto verso famiglie che saranno per sempre dimezzate. Interrotte.

Va avanti e dice: “Chi come me ama il proprio lavoro ...sa che un cocktail è metafora di gioia, di vita, condivisione di sentimenti profondi. Così ho pensato a Yara Gambirasio e Sarah Scazzi, ai loro volti sorridenti nelle foto che quotidianamente vengono diffuse dalla tv nel raccontarci dei drammi che dovrebbero far riflettere l'intera società

Qui non c'è gioia, non c'è vita. C'è un dolore che in un attimo e per un attimo è diventato eterno. E una morte tremenda. Quei volti sorridenti sono stati fissati in uno scatto che non potrà ripetersi mai più e sono stati sostituiti dalle fotografie dei corpi senza vita "al vaglio degli inquirenti". Un frase fredda come quella tragica fine. Corpi straziati che non possiamo vedere, ma che dobbiamo immaginare per comprendere che quella è una morte che vive. Che sporca la terra, la nostra stessa esistenza e che si ripete ogni istante e per sempre negli incubi dei sopravvissuti. Il ricordo di quei volti sorridenti va tenuto stretto, ma il tempo scolora tutto. Ecco perché non possiamo dimenticare, ecco perché non dobbiamo mai, mancare di rispetto a quelle famiglie. E non è dando loro voce, spazio, anche televisivo, che gli si fa del male. Anzi, loro chiedono che quel dolore sia visibile e condiviso. 
Le faccio una domanda, a lei che ha inventato questo cocktail, risponda nel cuore, risponda a se stesso se non vuole rispondere a me:
"provi a immedesimarsi in quei genitori in un sentimento che si chiama empatia, si metta nei loro panni ( lei è padre), immagini giovani e meno giovani che ridendo, scherzando, vivendo bevono un liquido alcolico con il nome di un figlio. Non messo lì a caso, come per un caso di omonimia. Ma messo perché è stato ucciso". 
Come si sente adesso?
Ecco, io non la giudico, cerco però di fare riflettere lei e non solo. Lo faccio perché mi sono avvicinata a quelle vite spaccate, a quelle persone che hanno subito la più grande delle ingiustizie e vorrei che ci fosse più rispetto. Più attenzione. Più senso di responsabilità verso di loro, e verso ciò che con le nostre azioni comunichiamo ai nostri figli. 
Siamo legati uno all'altro. Tutto ciò che facciamo produce senso che va nel mondo e lo costruisce, lo cambia o lo spezza. Dobbiamo imparare a fermarci un istante. Riflettere. Andare oltre il nostro naso. Comprendere che gli altri non sono, come diceva Pessoa, “solo paesaggio”. Sono vite. Esistenze. Mondi.“Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.
Non dimentichiamolo mai.



Barbara B

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