Basta un attimo!
di Barbara Benedettelli
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«Gentile signore... non la conosco personalmente. Conosco
perfettamente tutti i suoi dati come da verbale di polizia, ma non l'ho mai
vista in faccia, guardata negli occhi e non conosco la sua voce. Quella sera maledetta,
quando ormai il mio bambino giaceva esanime travolto dalla sua auto... vedevo
in lontananza le sembianze di sua moglie e dei suoi bimbi e non mi sono
avvicinata. L'ho fatto apposta, a evitare azioni inconsulte... Vedere il mio
Andrea morto, il suo corpo martoriato, la sua testa fracassata, il suo volto
bellissimo e così tanto amato, sfregiato, deturpato, i suoi occhi azzurri ormai
chiusi per sempre. Quale madre, quale padre, non avrebbe voluto ritorcersi
contro di lei? Le augurai con tutto il mio cuore e con tutta la mia voce di
provare anche lei lo stesso dolore… Fu la reazione del primo momento. Ora, a
distanza di circa 100 giorni... posso dirle con la stessa sincerità con la
quale pronunciai quelle parole, che no, questo dolore non lo auguro neppure a
colui che ha provocato la morte di mio figlio. Non auguro a nessuno, ma proprio
a nessuno di volerlo riabbracciare al punto che per poterlo fare darei la mia
vita. Per poterlo salutare e baciare un minuto soltanto. Non auguro a nessuno,
ma proprio a nessuno di cercare il suo odore negli armadi, di cercare la sua
essenza fra gli abiti sporchi nel bucato ancora da fare, di accarezzarlo
idealmente attraverso una fredda fotografia, di sperare di rivederlo in un
sogno per qualche minuto... "
Questa è una parte della lettera aperta che Elisabetta De
Nando ha scritto a chi ha ucciso suo figlio. Andrea è scomparso il 29 dicembre
2011, a Peschiera Borromeo (Milano), dopo un pomeriggio passato all'oratorio,
con il fratello gemello Cristian. Stavano attraversando la strada sulle strisce
pedonali, il semaforo verde, quando un auto a velocità sostenuta nonostante i
limiti e i divieti, rientrando da un sorpasso azzardato ha rotto quella linea
sottile che separa la vita dalla morte. Un attimo che cambia tutto. Per sempre.
“Quando Cristian si è accorto di cosa stava accadendo ha
istintivamente dato uno spintone a chi aveva vicino. Ha salvato un amico, ma
non ha potuto salvare suo fratello. Suo fratello ha dovuto vederlo morire. Gli
ha toccato la testa spaccata, ha cercato di impedirgli di soffocare. E' venuto
a casa rosso del sangue di Andrea. Sono credente e penso che se il Signore
doveva togliermelo sia fatta la sua volontà. Ma lo ha fatto nel modo peggiore.
E a Cristian ha buttato addosso tutto il male: l'aver perso un gemello; un
assurdo senso di colpa nel non averlo salvato; l'immagine terrificante di
quella morte. Cerca di reagire, ma solo lui sa cosa ha dentro. Chiama gli amici
e dice: “Venitemi a prendere se no mi ammazzo.” Spero con tutto il cuore
che mi è rimasto, che sia recuperabile... Se vai in giro senza casco posso
pensare che in un certo senso te la sei cercata, ma così no. C'è da impazzire.”
Ancora di più quando la legge, poi, permette a chi ha
provocato tutto questo di patteggiare una pena che nei fatti si traduce in
nulla. E impedisce a voi un ruolo attivo nel dare valore alla vita spezzata di
un figlio, e all'esistenza limitata alla quale siete stati costretti.
“Io Barbara voglio una giusta pena. Perché la vita, come
dici tu, non è “niente”. Se non permettiamo a chi uccide di pagare per quello
che ha fatto, è lei che svalutiamo. La vita di tutti. E sono convinta che una
giusta pena possa aiutare anche il colpevole a uscire da una situazione che è insostenibile se sei umano: avere
ucciso una persona a causa di un'azione che non tiene conto di regole create
proprio per evitarlo. Mio figlio è vissuto sedici anni e io devo provare per il
resto della mia vita un dolore scarnificante perché una persona ha deciso, per
motivi suoi, che quella sera aveva fretta. Se vai come un pazzo e ti schianti
contro un albero è una scelta tua. Ma se ci va di mezzo mio figlio, o il figlio
di qualcun altro, non è più giusto. La tua azione ha coinvolto persone
inconsapevoli e se la legge ti dà la possibilità di sfuggire alla tua
responsabilità fa male anche a te. E legittima il non rispetto delle regole che
è anche il non rispetto della vita umana. Io vorrei che dove muoiono le persone
vengano messi manichini che le rappresentano in cui c'è scritto: “Sono
Andrea. Sono una Vittima della strada e del mancato rispetto per le regole.”
Scioccante lo so. Ma la gente deve prendere coscienza che una macchina è
un'arma."
In Italia muoiono tredici persone al giorno...
“Vittime per sempre
loro, come dici tu, e noi. Andrea non può più diventare grande, avere figli,
vivere. Noi non possiamo più immaginare il suo futuro come tutti i genitori.
Sai quante volte lo penso chiuso nella bara? Adesso lui è in una dimensione
dove spero stia bene. Ma noi? Potremmo mai permetterci anche solo la spensieratezza?
No! C'è l'inferno. La vita è solo un passaggio temporale nella speranza di
poterlo rivedere. Non metto in dubbio che anche chi ha fatto questo soffra, ma
se sente su di sé la colpa, allora deve voler pagare. Solo così potrà sentirsi
a posto con la coscienza, con noi e con la società. Lo so che quando andrò in
tribunale riceverò un altro grande dolore, perché l'udienza durerà pochi
minuti; io non potrò dire nulla; la vita di mio figlio sarà valutata meno di
niente. Ma non smetterò di combattere per la giusta pena, perché se la
giustizia non la otterrà Andrea, farò il possibile perché, grazie a lui, la
ottengano gli altri. Solo così posso dare un senso a tutto questo. Spero che
chi lo ha ucciso senta la necessità di non patteggiare la pena, o che il
giudice rifiuti la richiesta. Una condanna senza pena effettiva lo ucciderebbe
la seconda volta.”
E renderebbe voi anche Vittime sempre. Ogni volta che la
giustizia guarda una parte sola di una vicenda che nessuno dovrebbe mai dover
vivere. La vita non è una merce in saldo. Ha un valore che supera tutti gli
altri. Senza non c'è niente. Non dimentichiamolo mai.
©
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